giovedì 6 agosto 2015

I SILENTIA LUNAE, OVVERO DELLA BUONA MUSICA ANTICA


di FRANCESCO GALLINA


Mandolino Vinaccia 1901
Oggi, a un mese esatto dall'apertura del blog, sono lieto di condividere con voi l'intervista che ho fatto al soprano Maria Caruso,  co-fondatrice dei Silentia Lunae, un eclettico ensemble di musica antica. Con grande piacere per le mie orecchie avvezze al classico, sono andato ad ascoltare Bacco e Arianna, uno dei magnifici appuntamenti di Summer Kermesse, che i Silentia Lunae propongono a Parma per la seconda estate consecutiva. Per il mese più torrido dell'anno, una rassegna musicale freschissima che ha anche il nobile scopo "collaterale" di far rivivere angoli di Parma poco conosciuti o deturpati dal vandalico bivacco, come il Tempietto d'Arcadia nel Parco Ducale, dove fra l'altro si esibirà domenica 9 agosto alle ore 19.30.   Per ulteriori informazioni consiglio di visitare il sito http://violadagamba9.wix.com/summerkermesse2.

Al termine del secondo concerto tenutosi alla Pinacoteca Stuard domenica 2 agosto 2015, Maria mi concede gentilmente il suo tempo. Dietro di noi, ci tiene d'occhio un'accigliata e bellissima Giuditta dipinta da Lavinia Fontana. Attorno a noi una tiorba, un violino, una viola da gamba e uno splendido mandolino Vinaccia 1901.
Benvenuta su BusillisBlog, Maria! Partiamo dal nome. I silenzi della luna: perché?
E’ una domanda di tipo esistenziale, quella sul nome: il nome infonde le sue qualità alle cose, o sono le cose, con le loro qualità, a far scaturire una parola/suono che le indichi per quel che sono? Il nostro nome è nato per caso, come molto spesso accade: un musicista che all’epoca della prima formazione suonava con noi leggeva in quel periodo “Per amica Silentia Lunae”, di W.B. Yeats, un poeta visionario che anche a me piace molto. Allo stesso tempo, è una citazione virgiliana dall’Eneide: la calata dei Danai. Forse è strano che il nome di un gruppo musicale possa nascere da due cose così eteree e senza apparente sostanza come l’idea del silenzio e l’idealizzazione della Luna, mondo dell’incorporeo spirito sottile e del femminile. Eppure, il nome ci ha portato bene, e coglie una visione che alla fine ci ha aiutati a crescere artisticamente: prima del suono, deve esistere un silenzio, e cioè devono esserci idee, riflessione, studio e un tempo di incubazione necessari alla produzione del suono. Il suono, semmai, nasce come parte finale di un lavoro sommerso. Il mondo della Luna ci rimanda a tutto l’immaginario dell’Ariosto con Astolfo e la sua follia, e il rinsavire.
Chi siete e qual è la vostra formazione artistico-musicale?
Vorremmo essere un polo di attrazione e uno spazio di ricerca per la musica antica, e cerchiamo di catalizzare talento e forze per realizzare progetti unici. Siamo persone in continua evoluzione. Dalla prima formazione di quartetto siamo cresciuti moltissimo, grazie alle fitte collaborazioni artistiche. Ad un certo punto del nostro cammino, circa due o tre anni fa, abbiamo compreso che Silentia Lunae, come associazione e come ensemble, può essere molto flessibile, e far affidamento sulla partecipazione rodata di un buon numero di musicisti che non vivono necessariamente a Parma, ma provengono da altre città o fanno parte di altri ensemble. Siamo quindi diventati una base da cui partono progetti musicali molto vari: dal momento che ogni epoca e repertorio richiedono una particolare cura dell’organico strumentale, questo ci rende capaci di spaziare parecchio. La musica antica è un campo vasto, i materiali musicali coprono le epoche dal Medioevo fino alla tradizionale data della morte di Bach, 1750. Noi espandiamo il concetto di musica storicamente informata anche al classicismo e primo romanticismo, fino a Paganini, per intenderci, e nella nostra ricerca includiamo le raccolte “folk” del 700 e 800 di area anglofona. Ovviamente, un musicista che suona la viella, o il salterio a muso di bue per la musica medievale, non suonerà il cembalo per il barocco francese, per intenderci. Quindi, curando personalmente la ricerca e gli organici attingo al nostro bacino di collaborazioni e coordino questo aspetto, di volta in volta facendo ricorso a professionalità e talenti diversi. Siamo flessibili in funzione della nostra ricerca, ma non siamo “camaleonti” per quanto riguarda discorsi commerciali o di convenienza. Siamo fuori dai circuiti.
Quanto è importante per voi il rispetto filologico del testo musicale? Quale ruolo rivestono le fonti?
Le fonti sono semplici tracce, canovacci che si può anche ignorare, conoscere parzialmente, o addirittura non conoscere? Oppure il testo è la materia stessa del nostro fare musica? A detta di molti oggi, ci si può allontanare dal testo per conquistare un pubblico, ricorrendo a manovre molto commerciali. Bisogna dire che stiamo vivendo una fase successiva a quello che negli anni ’80 fu la grande esplosione della musica antica: fu un periodo di grande diffusione, popolarità, che portò alla ribalta quelli che oggi sono i grandi gruppi storici. Ma, dopo questo periodo, come forse si poteva immaginare, la musica antica per chi è giovane ha iniziato ad essere un’idolatria della discografia e ha smesso di essere uno studio delle fonti. Non nascondo che provo molto fastidio quando sento, anche tra professionisti affermati, discussioni sulle esecuzioni musicali e le incisioni col solo scopo di indicare quale sia l’incisione migliore,


di riferimento: il riferimento sono le fonti. Poi ci sono incisioni bellissime e utili da ascoltare. Il risultato di questi anni recenti è il proliferare di un sottobosco di imitatori, seguaci di grandi nomi, e ibridi mostruosi: le contaminazioni fatte per il solo scopo di riempire i teatri, di vendere. Onestamente, ci siamo passati anche noi, e anzi, paradossalmente, proveniamo da quel sottobosco in cui agli inizi siamo rimasti per un po’, e molto in buona fede, con l’entusiasmo di chi inizia e scopre una bella cosa. Fortunatamente, qualcosa è successo e per me è stato un richiamo alla necessità di prendere una decisione: bisogna avere il coraggio di seguire la propria strada quando è difficile. Sono tornata a scuola, ho ripreso a studiare, non senza enormi sacrifici, alla mia età.  Bisogna anche proporre i repertori diversi con onestà intellettuale: l’antico è l’antico, il folk è il folk, e se si incrociano in molti punti, c’è da dire che entrambi i repertori vanno rispettati e compresi per ciò che sono. Non penso che non si possano fare molte cose diverse allo stesso tempo, anzi. Ma nel fare ognuna di queste cose, cerco di trovarne la sorgente, di proporne l’essenza, di creare il discorso costruito su una ricerca proprio perché sono passata attraverso questa grande trasformazione, da “seguace” di influenze e correnti, a pensatrice indipendente, e ne sono molto contenta.
Il vostro repertorio è vastissimo, ma proponete preferibilmente musica antica, medievale, folk e barocca-rococò. Quali i compositori che più amate? Quali correnti e forme poetico-compositive prediligete?
Vorrei chiarire un aspetto importante: un repertorio non è mai interamente di chi lo suona. La bellezza del mondo che proponiamo è che il repertorio è vastissimo, e basta guardarsi intorno, scegliere. Tante cose affascinano per motivi diversi, tante scelte musicali sono valide, e tutte sono legittime. Per me è molto importante l’approccio alla musica e che alla base ci siano curiosità, passione, sapiente studio e tanta umiltà. E’ necessaria anche flessibilità tecnica, sugli strumenti diversi e anche con la voce come mezzo espressivo. Per me, ogni compositore è un mondo da scoprire, e se lo propongo al pubblico è perché lo amo profondamente, e quasi in maniera ossessiva: ne conosco la vita, la storia, e le note. Sono molto affascinata dalle figure di Christopher Simpson e Tobias Hume, autori inglesi tra Cinquecento e Seicento per la viola da gamba con personalità interessanti. Simpson, lo si intuisce anche da ciò che scrive, dai suoi ritratti, era introspettivo, colto, estremamente raffinato e un virtuoso eccezionale. Hume era uno straordinario musicista molto avanti per i suoi tempi, e la sua musica è generosa e sanguigna a tratti, e allo stesso tempo rarefatta e ultraterrena. Sento molto vicina alla mia indole segreta la musica Speculativa, e cioè tutta quella musica contrappuntistica che è prima di tutto un esercizio per la mente, ma raramente riesco a proporla: è la grande incompresa del nostro tempo, si pensa che sia difficile da ascoltare, e invece ha una carica enorme di emozione in sé. Amo particolarmente il repertorio inglese e francese: la mia formazione negli Stati Uniti mi ha portato a sviluppare il bilinguismo e il polistrumentismo e cantare il repertorio inglese


rinascimentale e barocco è un piacere naturale per me, da Dowland, Campian, Ravenscroft a Purcell. Invece la musica francese mi ha sempre catturata molto per la freschezza fusa all’eleganza e le raccolte di Air de Cour di Gabriel Bataille sono un esercizio quotidiano per sviluppare l’eleganza nel fraseggio, e comprendere il meccanismo dell’ornamentazione funzionale alla musica e non fronzolo esteriore. Amo leggere dalle stampe dell’epoca quando sono belle come quelle di Bataille, e le preferisco molto alle trascrizioni moderne: uso il più possibile copie di spartiti dell’epoca, li trovo comunque più utili per molti aspetti e, non ultimo, comprendere il carattere di un’epoca e di uno stile anche dalla stampa stessa della musica.

Ultimamente, sono molto grata al mio maestro di viola da gamba, Roberto Gini, per avermi incoraggiata ad affrontare un repertorio importante con Jean Baptiste Forqueray, che incute timore: mi sento in ottime mani, e mi fido di lui.
 Tra le forme poetiche e compositive, metto al primo posto l’umile villanella: testi amorosi semplici e immortali, forma essenziale asciutta, poche cose, ma tutta musica eccezionalmente viva. I miei preferiti sono Kapsberger e Falconieri, anche per le vicende delle loro vite.
Amate esibirvi in luoghi non sempre canonici, come musei, pinacoteche e gallerie d’arte, proponendo interessanti percorsi trasversali fra musica e immagine. Qual è il vostro rapporto con l’arte figurativa? Quali legami tematici o di senso intendete istaurare?
Sono una persona molto legata all’aspetto visivo della vita, dipingo e fotografo molto. Mio padre è un appassionato di archeologia e spesso ci portava a vedere scavi, musei, pinacoteche, e ricordo con immensa nostalgia tutte le chiacchierate con lui, ormai più rare, nei bellissimi musei e scavi della Campania. Richard, liutista, con cui

festeggiamo quest’anno 25 anni di matrimonio e musica, costruisce strumenti, è liutaio e le sue creazioni si basano su iconografia. Il legame con l’arte figurativa è quindi molto forte e concreto. A volte i progetti e le idee per un concerto nascono dall’arte, dai luoghi stessi in cui proponiamo un programma. Sono progetti studiati per valorizzare beni artistici, ma non solo, perché cerchiamo di costruire un rapporto con quelle istituzioni sul territorio con cui possiamo realizzare un discorso che includa i luoghi e l’arte insieme alla musica. Ma il discorso va molto oltre: musica e immagine sono un linguaggio potente, colpiscono l’immaginazione. La stoffa di cui è fatto l’abito della musica antica è l’immaginario, il Mito, lo slancio verso un ultraterreno misterioso, l’anima, e la musica e l’arte figurativa si evocano a vicenda con richiami spesso non solo fortissimi, indivisibili l’uno dall’altro.
Sento questa cosa con molta forza, anche perché amo dipingere, e così come nella musica uso le mani e il corpo, anche nella pittura ho in mente un forte senso di corporeità. Gli artisti che mi ispirano però appartengono ad epoche diverse tra loro: Bernini, Dosso Dossi, Tiziano, Dalì, Hopper, Edward Burne Jones, ma in realtà sono tantissimi. Non ultimo, un caro amico scomparso di recente e sconosciuto ai più, Giona Ciavola – interessantissimo e arguto.
Nel suo splendido libro Passeggiate nei prati dell’eternità (Mursia, 2013), Valeria Paniccia esalta i cimiteri monumentali come luoghi pregni di storia e splendore artistico-architettonico. Tu, a proposito, curi visite tematiche nel Cimitero della Villetta di Parma. Quanto è importante la rivalutazione di questi luoghi? Quali interessanti personaggi si annidano nel nostro cimitero?
Ho conosciuto Valeria Paniccia al Cimitero della Villetta, e ripensandoci, è un vero onore dal momento che lei nei cimiteri monumentali un po’ in tutto il mondo ha passeggiato con José Saramago, Gae Aulenti e tanti incredibili personaggi. Il suo libro è molto bello, me lo regalò alla fine di una giornata che rimarrà nei ricordi belli di un incontro con una persona squisita. A Parma, da anni, curo la parte musicale di varie visite tematiche al Cimitero della Villetta, e in particolare il percorso che presenta i musicisti famosi lì sepolti, da Paganini, a Bottesini, Campanini, Silvani, Pizzetti, Dacci, Migliavacca. Invece di parlarti di quanto sia importante questo lavoro culturale, vorrei parlarti delle anime che ci ho incontrato, poiché sono molto sensibile e mi impressiono facilmente e spesso mi è sembrato di catturare storie di vite, scorgere volti, sorrisi, e nei sogni di rivedere anime buone. Ma questo è perché il nome della poesia di Yeats ha il suo effetto su di me. Inizialmente quando mi chiesero di fare questa cosa anni fa ebbi un attimo di sgomento di fronte all’ipotesi di suonare al cimitero. I momenti curiosamente divertenti non sono mancati, come quella volta che durante le prove di un concerto serale rimanemmo chiusi dentro per un po’. Il silenzio dei cimiteri infonde uno strano senso di pace mista a terrore, e la parola che mi

sorge spontanea a riguardo è entrarvi con rispetto. La musica, unita alla grandissima ricchezza dell’arte scultorea, dei mosaici, e in generale della storia di Parma, fanno di questi percorsi un’esperienza unica. Il pubblico ha sempre partecipato generosamente, e con un’attenzione che raramente oggi si trova perfino in sala da concerto. Considera che il percorso musicale ha momenti molto toccanti, quando ad esempio dalle melodie sublimi di Paganini, si arriva al Paganini dei Poveri, il violinista cieco Augusto Migliavacca, cui la città pose il monumento funebre con una colletta sulla Gazzetta di Parma, e in un inverno gelido in cui il violino gli si spaccò dal freddo, sempre con la colletta, glielo ricomprò.
La vostra musica, almeno nel Bel Paese, è decisamente borderline rispetto al monotono circuito commerciale, ma proprio per questo risulta molto stimolante. Qual è, in generale, la ricezione che questo repertorio ha in Italia? E all’estero?
E’ un paradosso, se si considera che tantissimi giovani arrivano in Italia per studiare il patrimonio artistico e musicale nostro. Ultimamente, ci sono difficoltà enormi e nessuno può negarlo o nasconderlo, ma non si tratta solo di difficoltà economiche, o meglio, penso che la difficoltà maggiore sia un’altra: la demolizione sistematica della cultura, della scuola, dell’educazione al pensiero critico indipendente, per cui non si riconosce più in sé un legame profondo col patrimonio di musica, arte, architettura e paesaggio. Si cerca l’intrattenimento facile, quello che ha da lungo tempo varcato i suoi naturali confini, per divenire unica fonte di nutrimento per molti. Non voglio salvare l’estero a scapito dell’Italia, e vedervi a tutti i costi qualcosa migliore di ciò che noi siamo ed abbiamo, anche perché, avendo vissuto dieci anni della mia vita all’estero, ormai sono convinta che l’estero, in realtà, non esista. L’estero è quel paese dove non siamo in noi.
Il luogo più bello dove vi siete esibiti?

Personalmente ho un misto di bei ricordi sia per i miei concerti solistici che con Silentia Lunae, per un po’ ho cantato anche in produzioni liriche (con Zeffirelli e Domingo) nei maggiori teatri italiani di tradizione. I posti belli sono tanti: splendide sale vittoriane, come la Victorian Mansion di Portland, e la State House del Governatore del Maine, e chiese monumentali del New

England; Spoleto e il principesco Schloss Eggenberg di Graz, e Il Teatro Farnese, la Galleria Nazionale, la Camera di San Paolo, il Palazzo di Riserva, la Pinacoteca Stuard di Parma, il bellissimo Magnani di Fidenza, il Cortile d’Onore della Casa della Musica di Parma, e il Chiostro del Conservatorio di Venezia, la Chiesa di Santa Barbara a Mantova, il Complesso Monastico Polironiano, tante Pievi del territorio parmense, il Castello di Spezzano a Fiorano Modenese, Brera, il Teatro Fraschini di Pavia, e non ultimo, il Tempietto del Parco Ducale di Parma.

Il posto più bello in assoluto dove abbiamo fatto musica però è come volontari e coordinatori di un programma di musicoterapia e ricreazione per cinque anni nel Maine, nelle case di riposo e gli ospedali, e poi in Italia con i ragazzi autistici, e con i bambini della scuola Elementare Don Milani a Parma. Lì ho i ricordi più umani, e lì mi ricordo i volti delle persone nel pubblico. Non è retorica, chi mi conosce sa che ho svolto quel lavoro con impegno e spesso chiedendomi, dove mi sembrava di non riuscire a trasmettere nulla, che senso avesse. Da tutti loro ho ricevuto qualcosa che ha arricchito la mia musica e spero di avergli dato qualcosa di bello e utile.
Siete in contatto con altri ensemble italiani sulla vostra lunghezza d’onda in quanto a repertorio e forme espressive? Lavorate anche a fianco di danzatori…
Siamo sempre tutti un po’ in contatto, perché il nostro mondo è piccolo. Oggi apprezzo molto il social network, e in particolare Facebook non solo per tenermi in contatto: è una vera agorà con scambi di idee interessanti dove a volte si scoprono aspetti umani e le idee dei colleghi musicisti più che in altre circostanze. Interagisco molto, siamo tutti persone curiose e comunicare è essenziale. In realtà non ci sentiamo più un “ensemble” in maniera
tradizionale, come dicevo prima. Silentia Lunae è un catalizzatore, abbiamo il karma, se uno ci crede, della materializzazione improvvisa e miracolosa in tempi difficili. Mi interessa essere su una lunghezza d’onda con le persone dietro ai musicisti. Quando c’è quel contatto umano, si crea una scintilla da cui scaturisce sempre ottima musica. Apprezzo moltissimo chi si dedica alla danza, forse anche perché non so danzare. Il lavoro insieme è costruttivo, e negli ultimi anni ho molto apprezzato, tra tutti i collaboratori, Clara Armani e Maurizio Lucchetta per la grande professionalità e capacità tecnica e interpretativa. Lavorare con la danza richiede molta attenzione agli equilibri tra movimento corporeo e il muoversi della musica, è un ottimo esercizio per chi suona e mette in contatto con quella grazia innata che gli inglesi chiamano “lilting”, l’oscillare vagamente irregolare del tempo col corpo, la vera “inegalité” della musica barocca.

Nessun commento:

Posta un commento